Riepilogando

Siamo passati attraverso le Forche Caudine di ben quattro riforme principali delle pensioni, nell’arco di un ventennio:

1)    Riforma delle pensioni di Giuliano Amato del 1992 (quello del prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti di tutti, poveracci compresi), che manteneva il sistema retributivo, più favorevole al lavoratore, ma innalzava l’età pensionabile per i lavoratori con meno di 15 anni di contributi, benché non ancora “indicizzata” all’aumento della vita media, e, fatalmente, portava a riduzioni del fondo di Trattamento di Fine Rapporto per le nuove generazioni.

2)    Riforma delle pensioni di Lamberto Dini del 1995 (pensionato d’oro, privilegiato, che danneggia i futuri lavoratori e pensionati). Passaggio al sistema contributivo (ovviamente il meno favorevole per i lavoratori, futuri pensionati) dal retributivo con tre sistemi di calcolo: con più di 18 anni di contributi il calcolo sulla media degli ultimi stipendi percepiti (dieci anni, per i dipendenti), in un’ottica sostanzialmente retributiva; con meno di 18 anni di contributi, sostanzialmente retributivo fino al 1995 e poi contributivo dal primo gennaio 1996; per i giovani, con contributi dopo il 1995, solo contributivo. Un colpo deciso anche alle cosiddette pensioni di anzianità, data la riduzione del coefficiente di computo della pensione. Un passo in avanti deciso, oltre Amato il castigalavoratori e pensionati che ha allungato la vita lavorativa, verso la riduzione delle pensioni dovute.

3)    Riforma delle pensioni di Romano Prodi del 2007 (quello che ha contribuito a “terminare” l’IRI, essenziale per le produzioni e il lavoro italiani, e ci ha “portato in Europa” definitivamente, condannandoci al declino). Qui registriamo brevemente l’allungamento progressivo della vita lavorativa – ma non ancora direttamente dipendente dall’allungamento della vita media – dai 57 anni del 2007, con 35 anni di contributi, ai 62 previsti anni dal 2014, sempre con 35 anni di contribuzione e l’alternativa, per andarsene finalmente in pensione, dei 40 anni di contributi a un’età qualsiasi.

4)    Riforma delle pensioni di Elsa Fornero del dicembre del 2011 (da poco insediato l’esecutivo Monti), che ha rincarato la dose e si è rivelata letale per le sorti del lavoro e dei pensionati. La riforma, nel concreto, distingue fra le sole pensioni di vecchiaia e quelle anticipate, a partire dal 2012, con 66 anni d’età per dipendenti, autonomi, donne del settore pubblico, 62 anni per le donne nel settore privato, con incremento fino a 66 dal primo gennaio 2018, 63 anni e sei mesi per le donne nel settore privato, con aumento fino ai 66 a partire dal primo gennaio 2018. Dal 2021 è richiesta l’età minima di 67 anni per tutti i lavoratori. Inoltre, per quando riguarda l’anticipo, è possibile ottenerlo dal 2012 con 42 anni di lavoro per gli uomini e 41 anni per le donne, ma ciò che più importa, ai nostri fini, è che dal 2013 il periodo minimo per maturare l’anzianità necessaria si lega alla speranza di vita, con aumenti di almeno un mese, forse di due, per ogni anno che passa. Tanto che si lavorerà fino ai settant’anni e oltre, se fino al 2050 non interverranno nuovi e più penalizzanti interventi normativi (per le masse), che imporranno ulteriori accelerazioni nell’allungamento del periodo di lavoro.

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