Le cause generali di questo non sono per niente misteriose: la marcescenza del neocapitalismo globale che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, la precarietà del lavoro, la natura “terminale” del capitalismo finanziario come di una Unione Europea che si proclama custode di moralità e democrazia e non riconosce d’essere diventata una oligarchia dispotica ed arbitraria dei forti contro gli Stati deboli. Rabbia dal basso e cattiveria spietata dall’alto sono – o anche l’inverso – denunciano la comune prigionia in un sistema radicalmente sbagliato e giunto al capolinea, ma che non si s o non si vuole cambiare.
A queste cause generali Philippe Grasset (l’analista-filosofo di Dedefensa), chinandosi sul “furore collettivo” che muove in Francia da mesi, sulla “colère” sulla “amertume” che esprimono i Gilet Gialli (la Francia periferica) ma anche i “colorati” delle banlieues in guerra civile permanente con la polizia, sul motivo di tanta rabbiosa incattivimento, ne aggiunge un’altra: la pubblicità.
Pubblicità? Già. La pubblicità esprime una straordinaria ideologizzazione a favore del Sistema. Molto più efficace nell’imbevere la gente dell’ideologia del Sistema – edonismo, trasgressione conformista ed approvata, consumismo, “modernità” – immensamente più di quanto siano i media e la stampa, i tecnocrati, gli economisti, gli “esperti” della globalizzazione. Quelli, in fondo, pochi li leggono o ascoltano. Ma la pubblicità è continua, incessante, onnipervasiva; vi siamo pienamente immersi ; ed essa “ha il vantaggio di poter pretendere di agire al di fuori di ogni ideologia, di ogni scopo politico”, ma solo di vendere e far comprare. “La pubblicità non affronta mai direttamente l’argomento politico in favore del Sistema,anche se lo esprime massicciamente, con forsennata ideologizzazione”: la felicità come consumo, il prestigio acquistabile con oggetti, la trasgressività conformista, la sensualità promossa e legittimata, edonismo permissivo.
“Enormemente presente in tutto il sistema di comunicazione e specie nella televisione, corrotta e corruttrice e riconosciuta come tale, è enormemente ripetitiva: senza che nessuno si indigni o protesti”.
Ciò perché “il pubblico non domandava che di essere condizionato. La pub non imponeva un mondo al suo pubblico, essa anticipava il mondo di cui il pubblico voleva far parte”.
Non è sempre stato così. Philippe Grasset, che da giovanissimo è stato per qualche tempo copywriter in una delle grandi agenzie pubblicitarie francesi, ricorda che fino ai primi anni ’60, non c’era la pubblicità; c’era la Réclame: cosa essenzialmente modesta, per nulla invasiva, confinata in qualche colonnina di giornale o di manifesto di modeste dimensioni. Solo verso gli anni ’60 “si passa veramente dalla réclame alla pubblicità, ossia da una attività d’influenza statica e convenzionale a una attività d’influenza dinamica e modernista”, “creativa” e seducente, con pretese di arte espressiva: adotta tutti i trucchi e le seduzioni del cinema, vi partecipano grandi registi, paesaggi tropicali e favolosi, donne di sogno … e il “sogno americano” come sfondo e come modello del benessere nuovo e diffuso. Basta ricordare l’Uomo Marlboro come modello di virilità.
Il punto è che, allora, la gente pensava che di quel mondo di comfort e bellezza, avrebbe fatto parte. Erano tempi “di salari in aumento, prospettive di miglioramento e bassa disoccupazione; tempi di vacanze esotiche (Club Mediterranéee), di nuove auto”…
Ed oggi? Oggi la pubblicità è diventata ancora più potente e seducente, più oltraggiosa ed eccessiva, più pseudo-trasgressiva, più evocatrice di lussi e sensualità eccessivi , di messaggio che tutto è permesso per la felicità vostra – ma è il pubblico che è cambiato. Sono cambiate le sue condizioni sociali, cadute le sue speranze di entrare nel mondo lussuoso dipinto dalla pubblicità.
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