Propaganda

Robert Parry è un giornalista investigativo americano, fondatore del Consortium for Independent Journalism. In un lungo articolo dello scorso 30 gennaio analizza la costruzione del consenso nell’opinione pubblica americana su temi di politica estera.

Il meccanismo propagandistico che viene utilizzato ad ogni crisi, fin dai tempi delle ingerenze statunitensi in America Latina, è stato “scoperto”  – sostiene Parry –  dai conservatori, e consiste nello stabilire un’equivalenza fra personale e  politico. La demonizzazione del leader di turno ha il doppio vantaggio di evitare l’analisi di una situazione nella sua complessità, e stabilire da subito il preciso confine tra buoni e cattivi secondo lo schema vetero-hollywoodiano ancora vivo nell’immaginario del pubblico americano. Chi dissente viene accusato di essere  pro-Cattivo-di-turno, a cui viene assimilato: in pratica un banale argumentum ad hominem, grossolano ma sempre efficace.

Si crea così un gruppo di pensiero ufficiale che aggrega gli allineati ed emargina chiunque esprima dissenso, e si stabilisce un clima di maccartismo, dove lo spirito patriottico di ognuno è misurato dal grado di adesione, o sottomissione, al racconto ufficiale. In questo situazione succede che la maggior parte di coloro che hanno la possibilità di influenzare l’opinione pubblica preferisce o adeguarsi o tacere, per evitare di mettere a rischio  l’impiego o le possibilità di carriera.

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La buona scuola

In sostanza, la “Buona Scuola” proposta dal governo sarà fondata su competenza, metodi e saper fare invece che su conoscenza, contenuti e sapere. In pratica la scuola non sarà più il luogo della cultura, della mediazione, della cooperazione o della trasmissione della memoria collettiva. Sarà, invece, il luogo della competizione, del consumo e della rapidità.

Per rendersene conto, è sufficiente leggere le 136 pagine del progetto. Qui manca ogni accenno alla didattica, alla pedagogia e al diritto allo studio. Manca ogni aggancio alla Costituzione repubblicana e ai concetti di uguaglianza e di accesso all’educazione statale. Sembra passato inosservato il fatto che nel titolo del ministero dell’Istruzione sia scomparso, già da molto tempo, il termine “Pubblica”.

Il fine principale, e unica intenzione concreta e dichiarata, è la compressione dei salari con la limitazione della spesa, la modifica dello statuto giuridico dei docenti, l’introduzione della competizione tra insegnanti, della mobilità territoriale, della flessibilità delle mansioni. E poi l’introduzione della tecnologia e delle imprese. Tutti i docenti sono destinati a competere tra loro, a guadagnare meno e produrre di più. Solo i dirigenti, ossia i presidi, non subiranno decurtazioni dello stipendio.

Il meccanismo meritocratico che organizza la progressione di carriera dei docenti, come quasi tutti i sindacati hanno provato con calcoli e proiezioni, in realtà porta la categorie ancora più indietro rispetto le medie europee ed è uno specchietto per le allodole, per tutti coloro che credono al mito dell’”insegnante fannullone” e ritengono che 60 euro al mese siano sufficienti a riformare la classe insegnante e motivarla a produrre impegno, dedizione e rinnovamento.

Il fine principale, come vogliono la logica neoliberista e gli interessi di mercato che guidano le scelte finanziarie europee, è quello di deprimere la massa dei lavoratori e fidelizzare, gratificandola, l’élite dei dirigenti. D’altro canto, un rapporto OCSE del 1996 già auspicava che gli insegnanti fossero ridotti al semplice rango di “prestatori di servizi educativi”. E, di conseguenza, le scuole diventeranno un luogo di controllo sociale ed economico.

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=12720