Anche questo è esaltato dalle business-school con termini seduttori: “lean management”, gestione leggera e flessibile, “offshoring”, ossia subappalto dei servizi d’assistenza alla clientela ad agenzie esterne piene di sottopagati, di “famelici”. Così la ditta risparmia “sui costi” come esige non solo la business school, ma persino il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea, Bruxelles e Berlino.
Nella vecchia terminologia aveva un altro nome: “lavoro schiavistico”. Infatti l’economia dei call-centers presenta tutti gli inconvenienti, noti da secoli, del lavoro degli schiavi: scarsa qualità, meccanicità (e menefreghismo), assenza di lealtà verso il padrone, non volontà di risolvere autonomamente i problemi. In poche parole: un servizio deplorevole, disumanizzato. In una parola: improduttivo.
I vecchi capitalisti l’avevano imparato da secoli, si tenevano cari lavoratori, cercavano di guadagnarsene la lealtà con la fedeltà. I nuovi – finanziari, che non hanno mai visto una fabbrica, sempre alla ricerca della “innovazione” e della “gestione leggera” – quegli investitori che a Wall Street, quando IBM e Caterpillar licenziano, ne fanno rincarare le azioni perché “tagliano i costi” e dunque nel prossimo trimestre “esibiranno un profitto”- hanno completato il giro, e riscoperto che è furbissimo ingaggiare dei “famelici” schiavi, in paesi sottosviluppati, per i “servizi post-vendita”.
Così si vede che la persecuzione spietata della “massima efficienza “(massimo profitto) per “il capitale investito” finisce per essere – invece – proprio la palla al piede verso la meravigliosa “società del terziario avanzato”.
estratto da http://www.maurizioblondet.it/grande-innovazione-del-capitalismo-avanzato-gli-schiavi/