Eclissi come segno divino

Come saprete, un’eclisse di sole  ha attraversato il vasto territorio statunitense. Ebbene: è stata una eclisse razzista, razzista come  i suprematisti bianchi,  razzista come  The Donald e il KKK.  L’ha smascherata nella sua  natura proibita  e politicamente scorretta Alice Ristroph, una laureata in legge ad Harvard  (quindi probabile Snowflake) e insegnante di diritto a Brooklyn ;   che ha pubblicato la sua scoperta sulla rivista The Atlantic Magazine.  “L’eclisse totale sarà visibile da Lincoln capitale del Nebraska, dove la popolazione nera è solo del 3,8 per cento”,  scrive  la signora fremente per questa palese discriminazione razziale, “spostandosi ad est, l’eclisse passerà su parte di St. Louis, dove  la popolazione è quasi al 50% nera. Ma i residenti afro sono concentrati nella metà Nord dell’area metropolitana, e  l’eclisse totale passerà sopra la metà meridionale”:  l’eclisse  dunque lo fa apposta, ha voluto privare    la minoranza negra, tanto deprivata, anche del suo spettacolo astronomico.

Che una Ristroph si metta a delirare, farebbe di questo un caso pietoso di turba mentale, forse curabile con  antipsicotici. Ma quando  è una rivista relativamente seria come Atlantic Magazine a pubblicare una simile paranoia, il segnale è inequivocabile:  l’America è entrata in una delle sue ricorrenti allucinazioni  giustizialiste di massa.

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Per il nostro bene?

E non occorre essere sospettosi per indovinare che dietro alle promesse di futura e radiosa prosperità per le due sponde dell’Atlantico, si nasconda l’intento non recondito di sciogliere definitivamente improbabili alleanze tra Ue e Russia e di arginare l’espansione della Cina, il fantasma  contro il quale è necessario unirsi per contenerne l’imperialismo commerciale, in modo che   luna e l’altra metà dell’Occidente non perdano terreno “ formando un insieme nei campi della ricerca, dello sviluppo, del consumo e della finanza. In caso contrario le nazioni d’Oriente, guidate dalla Cina e dall’India, supereranno l’Occidente in materia di crescita, innovazione e reddito – e infine, in termini di proiezione di potenza militare”, come ebbe a dire Obama in una delle sue performance propagandistiche in favore di telecamere italiane.

Eh si, avevano ragione i due reduci dei riti di passaggio on the road, ci hanno colonizzato tutto. Tanto è vero che da anni è tramontata la stella polare antimperialista, solo i più “datati” ricordano le manifestazioni contro il Patto Atlantico, anche quelle finite tra le vecchie polverose paccottiglie del secolo breve, mentre trova nuovo fulgido protagonismo lo scontro di civiltà, che restituisce interamente la sua funzione di guardiania alla Nato. E quel che peggio è che questa astensione generalizzata dalla critica, questo remissivo assoggettamento ne accredita, oltre a quello militare e poliziesco, anche il ruolo “morale” e pedagogico, lo stesso che rivendicano ormai di assolvere governi nazionali espropriati di sovranità, che spacciano soprusi, repressione, autoritarismo, lesione di garanzie e diritti come necessarie misure anche educative, prese per il nostro bene.

estratto da https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2016/02/12/servilismo-innato/

Le frasi dei film

Le frasi nei film hanno davvero cambiato la coscienza (e il subconscio) collettivo, e alcune frasi declamate da occhioni imploranti, da bocche seducenti, da proprietari di spalle possenti o lunghe gambe dinoccolate, hanno contribuito poi a creare e costruire nuove mitologie distruggendone delle altre. Nascono anche grandi affari, perché frasi e immagini producono suggestioni e attrattive che muovono milioni e milioni di turisti, desiderosi di andare là, proprio in quel punto specifico, su quella veranda particolare, con quella luce, per poter rivivere il magico momento che l’attore/attrice di turno ci aveva regalato sullo schermo.

La città d’Europa che da 50 anni è leader, assoluta e incontrastata, come meta turistica, è Parigi. Non ha rivali. Un divertente studio analitico di quattro anni fa, condotto da un’equipe di sociologi californiani, aveva individuato le tre frasi più ricorrenti, famose e ripetute del cinema americano dal 1956 al 2006.

Al primo posto assoluto c’è la frase “I’m going to Paris”:

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La seconda frase più famosa e ripetuta è “I’m not on sale” (non sono in vendita) inconcepibile per una etnia come quella italiana, basata sulla furbizia e sull’abilità, quindi sulla vendita immediata di se stessi al miglior offerente.

La terza è “I’m on my way” (me ne vado per la mia strada); anche questa inimmaginabile per gli italiani, dato che questo è un paese dove la strada viene segnata e segnalata da qualcun altro, molto spesso dal proprio partito. In Italia nessuno può andarsene per la sua strada perché le consorterie hanno costruito diabolicamente una società composta da strade che sono solo apparenti, in realtà dei vicoli ciechi e per i più l’unica alternativa è l’ufficio passaporti per l’esilio volontario.

estratto da:http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/07/ieri-ho-visto-tre-film-sulla-rai-di-cui.html