Convinto di mettere in atto le sue idee progressiste con una grande conversione aziendalista, nel 1997 Berlinguer disarticola il sistema scolastico, assimilando le singole scuole ad aziende che, d’ora in poi, lustreranno la propria immagine ciascuna con un proprio piano di offerta formativa. L’uomo vende la sua riforma come progressista nel nome della “autonomia”, una parola che seduce, perché evoca spruzzi e sprazzi di democrazia diretta e libertà da pastoie burocratiche, ma che in realtà maschera il disimpegno dei governi iperliberisti dal finanziare il sistema-scuola. L’autonomia allontana le singole scuole da ogni progetto educativo nazionale e dai contenuti culturali vincolanti per l’insegnamento; fa balenare, sia pure in prospettiva, i finanziamenti privati ed elude i controlli sulla preparazione di docenti e allievi.
A disinteressarsi della sua preparazione culturale e a valutare da sé i propri risultati il docente mediocre si sente finalmente legittimato dall’autonomia scolastica berlingueriana. Non più guidato da un progetto educativo nazionale, svincolato da ogni contenuto disciplinare da parte del ministero, malpagato e senza alcuna considerazione sociale, assillato e plagiato dalla lobby pidiessina dei pedagogisti accademici, il docente è invogliato, o costretto, a ritagliarsi un’immagine positiva affaccendandosi nel nulla di scartoffie, di griglie, di funzioni aggiuntive e di formule valutative demenziali. Vuoti organi collegiali e dirigenti selezionati tramite i quiz di produzione brussellese impongono al docente adempimenti burocratici insulsi e del tutto inutili. La cancellazione dei criteri nazionali condivisi di quali siano i saperi essenziali finisce col coprire gli insuccessi educativi, perché non consente più al docente di capire chi è l’allievo preparato e chi lo è meno.
Fin qui Luciano Del Vecchio in http://www.appelloalpopolo.it/?p=12973
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